Rassegna Letteraria Positano Mare, Sole e Cultura

Positaneide

Quando arrivi con il bus, sgangherato e senza aria condizionata, ai primi tornanti della strada costiera che porta a Positano ed incontri Nettuno, che sorveglia da sempre gli isolotti de Li Galli, custodi eterni dei segreti di sirene e grandi amori, senti dentro una forza vitale che si sprigiona all’improvviso: un brivido ti attraversa la schiena e finisce dritto nell’anima. Ti senti principe di quel blu e cerchi la tua principessa in quelle acque vicine; ti senti mare e roccia, una docile fibra dell’universo e capisci perché i fiori più belli sono quelli impossibili, quelli che nascono sulle rocce, destinati a finire in una notte o a durare per sempre, battuti dal vento e lontano da tutto. Ti torna in mente quello che pensavi da bambino, quando credevi che, se avessi camminato abbastanza, avresti raggiunto l’orizzonte e, ora che dicono che sei “grande” ed hai un bisogno estremo di quell’orizzonte, provi a crederci ancora.

   Quell’orizzonte ogni anno, tra fine giugno e luglio, attende una buona rappresentanza dei miei studenti, che, sebbene le lezioni siano terminate ormai da tempo, scelgono insieme a me di indossare le vesti di pellegrini di bellezza ancora per due assolati pomeriggi: liberamente e con entusiasmo.

   Tutto nasce nel lontano 2011, quando la vulcanica, politropa, global ed intraprendente dirigente di allora, mi propone, con quel suo fare delicato e convincente insieme, di rispondere all’invito del dott. Enzo D’Elia, amico ed organizzatore della prestigiosa rassegna culturale Positano: mare sole e cultura, che intende coinvolgere attivamente i nostri valenti studenti in alcuni incontri con scrittori di fama che presentano i loro lavori. Non me lo faccio ripetere due volte: sento dentro di me che è un’occasione grande ed, insieme al prof. Pasquale “Filomeno” Di Biase (e sottolineo “Filomeno” perché ci tiene tanto), fidato ed entusiasta compagno di tanti viaggi, e con la benedizione dell’accademico federiciano prof. Francesco D’Episcopo, altro nume tutelare della rassegna e nostro amico storico, organizziamo la prima delle successive numerose trasferte (nessuno allora pensa  che ce ne sarebbero state altre)  che, ogni estate, ci portano a Positano almeno per due eventi: due ore e mezzo per andare ed altrettante per tornare, baciati da un sole spesso irriguardoso che cuoce anche il panino col prosciutto che abbiamo negli zaini; il tutto in un pomeriggio, una serata ed una nottata e tutto per amore della letteratura, della scrittura e dei libri in cui crediamo fermamente, così fermamente da sfidare anche genitori preoccupati che, per la prima volta, si vedono rincasare  alle tre di notte gli amati figlioletti, stremati dalla traversata, ma felici per aver vissuto un’esperienza esteticamente mozzafiato e didatticamente costruttiva e che, prima di allora, al massimo avevano partecipato ad un noioso Grest parrocchiale: “Per i libri questo ed altro, prof!”

   Già: i libri sono la nostra unica fede perché niente come la scrittura ci fa incontrare le parole e ce le fa amare e, se qualcuno sbaglia un congiuntivo o una consecutio, siamo lì pronti a difendere la nostra straordinaria lingua: i miei alunni sono pubblicamente autorizzati a tutto, quando si tratta di salvare il congiuntivo…

   Amiamo la scrittura perché in essa bisogna imparare ad affidarsi all’ignoto e chi scrive deve essere umilmente superbo, occuparsi della vita, raccontarne i colori, i profumi, i mille sangui, i contrasti, le commedie umane che diventano tragedie. Montale scriveva perché la vita non gli bastava e, se gli fosse bastata, così come Leopardi, non avrebbe scritto niente. Il sotterraneo è la vera sostanza della nostra vita, come dimostra il mito della caverna di Platone, perché ci sono delle energie che arrivano ai “vocati” quasi per magia: da una lettera, da una parola può nascere un racconto, lo diceva anche quel lucido pazzo di Domenico Rea. Scrivere è un mestiere violento, è una mano che ti afferra la nuca, ti cinghia alla sedia; non c’è niente di blando, di carezzevole, è una lotta che si combatte a mani nude, altro che lust zu fabulieren di cui parlava Goethe. La scrittura ferma lo spazio ed il tempo e restituisce alla vita il suo più autentico respiro, con l’aggiunta, talvolta, di una coscienza critica, che spesso la vita stessa non ha, e con una goccia di sangue versato in più.

   Partecipare alla rassegna di Positano mi aiuta a far capire ai miei studenti che scrivere è il modo più vero per denudarci, senza aver paura di essere giudicati, di sentirsi nessuno, di avere un’ulteriore conferma della nostra inadeguatezza perché, diciamocelo, questo mondo non ci lascia respirare, non ci fa sentire parte della storia, ma solo burattini inutili in mano a persone ipocrite. Nel momento in cui ci ritroviamo con una penna in mano, tutto il resto smette di esistere: ci siamo noi, nudi, con i nostri pensieri, il nostro cuore, il nostro bagaglio di consapevolezze, pronti a parlare di cose di cui, in altri ambiti, non parleremmo mai. È proprio questo il grande potere che ha la scrittura: riesce ad infondere un’energia speciale nelle persone che decidono di amarla. Le parole diventano amiche, la penna una complice, l’aria più leggera, noi stessi più vuoti, una volta finiti sul foglio; da tutto questo derivano, inoltre, anche l’importanza e la necessaria bellezza della lettura, oltre che della scrittura.

   Ogni volta in cui torniamo a Positano, dopo aver letto i testi che l’organizzazione premurosamente ci invia affinché li leggiamo e ne traiamo spunti per le nostre osservazioni da fare poi al cospetto dell’autore di turno, voglio che i miei alunni si ricordino di quanto siano importanti i libri, che ci proteggono dalle offese della vita e che abbiamo modo di apprezzare durante gli incontri di cui siamo spesso protagonisti con domande ed interventi che ricevono, quasi sempre, il plauso degli ospiti, proprio come è capitato recentemente con il grande Bernard Levy. Talvolta, come con Margaret Mazzantini e con Stefano Zecchi, è nato un rapporto che ci ha coinvolto a tal punto da spingerci a raggiungerli anche altrove, ad esempio, a Roma o all’Università Statale di Milano, dove abbiamo assistito ad una lezione sulla bellezza tenuta proprio dal prof. Zecchi. In particolare, con la Mazzantini esiste un legame che, quella sera, sarebbe stato difficile immaginare: con lei, infatti, abbiamo condiviso una delle esperienze più belle di sempre, una di quelle che ti squarcia il petto, ma ti aiuta a capire dove sei nel mondo. E’ stato bello ed intenso, prima di incontrarla a Positano, leggere con i miei alunni il suo Venuto al mondo sulle sponde dei fiumi o nelle gole delle montagne (non volevo rovinare tutto leggendo il suo romanzo a scuola, su vecchi e stanchi banchi di formica) e di notte (cosa mai accadutaci prima!) perdersi tra le storie di Diego, Gemma, di quel figlio nato sotto le bombe di Sarajevo, mentre qualche alunna particolarmente sensibile, durante la coinvolgente lettura, comincia addirittura a piangere per l’emozione, sorpresa dai genitori preoccupati.  Prof, ma che succede? Questo deve fare la scuola: regalare emozioni che “spaccano” ed incontrare Margaret è stata l’emozione, una parusìa.  Lei ha accompagnato le nostre letture, incoraggiandoci, “venendo al mondo” insieme a noi e promettendoci, attraverso frequenti mail, che un giorno, senza sapere né dove né quando, ci saremmo sicuramente ritrovati per stringerci intorno a qualcosa. A Positano il cerchio si è chiuso: i Templari hanno trovato il Graal, i pellegrini il loro santuario di bellezza e tutto è compiuto. E’ bello riconoscersi e ritrovarsi intorno alle parole dette, alle emozioni condivise, all’anima toccata.

   Forse in nessun posto come qui il cielo incontra il mare, dando vita ad una tavolozza di colori unici al mondo, mentre intorno le scogliere a picco ricordano quanto sia bello vivere, se si è in grado di amare quella magia onirica e surreale. La scuola deve insegnare lo sguardo capace di contenere e sostenere tutto questo incanto di emozioni, deve farti pensare che è meglio morire di poesia che impazzire di realtà, che si muore sempre un po’ per poter vivere perché sei prigione e prigioniero e che è bello ritrovare i paesaggi che incontri negli occhi delle persone che ami e le persone che ami nei paesaggi che incontri. Positano è come Medusa e come il basilisco, il favoloso rettile dei bestiari medievali che si pensava desse la morte con uno sguardo.

    La vita è l’arte dell’incontro e mi piace una scuola che ci permetta di incontrare, immersi in un teatro di bellezza,  Margaret Mazzantini, Francesco Guccini, Carla Fracci e Ken Follett, Maria Pia Ammirati, Luca Bianchini e Giovanna Bandini, Aldo Cazzullo, Stefano Zecchi, Giulio Giorello, Aldo Grasso e Bernard Levy; mi piace una scuola che ci permetta di confrontarci con altre realtà e soggetti, mettendoci le ali e provando a spezzare le catene della nostra storica chiusura “sannita”; una scuola che ci parli di noi attraverso Omero, Dante e Virgilio, l’ottativo e l’attrazione modale, che ci racconti la storia dell’unità d’Italia attraverso un dolce, che ci faccia sentire il sapore di cielo delle ciliegie di Pavese, il profumo del bosco vecchio di Buzzati, che ci spinga ad amare la delicatezza dei versi di Antonia Pozzi e Wislawa Szymborska, ma soprattutto che ci faccia viaggiare dentro e fuori e che ci dia occhi per agguantare le emozioni ovunque esse siano, nelle parole, nella musica, nei castelli del Piemonte, nei colori di Lubiana,  in una pioggia lieve sul Lago Maggiore o nella natura ferita della metamorfica Positano, con la sua mutevole bellezza, i suoi silenziosi e chiari profumi, col suo rapido respiro di vento saraceno, che odora di mare, dove l’ “intorno” si fa “interno” e ti fa incontrare il mondo, soprattutto quello dentro di te.

 

Prof. Costantino Massaro