Incontri telematici

In questa sezione abbiamo messo le nostre riflessioni scaturite da alcuni incontri con ex alunni del liceo, che ci hanno raccontato la loro vita di oggi, di ieri e, perché no, di domani, che hanno saputo cercare la loro strada e l’hanno trovata con caparbietà, grazie anche alla bussola che gli studi classici hanno donato loro: solo chi fa sogni smisurati sa compiere piccoli passi avanti!

 

Ho sempre pensato che l’insegnamento statico e fatto di passività e noia fosse totalmente inutile. Mi sento tanto fortunata nel poter affermare che ciò non riguarda me, non riguarda noi del Liceo Classico “A. Lombardi” di Airola. Credo che ogni luogo ed ogni momento della nostra esistenza siano valorizzati in gran parte da chi li vive con pienezza poiché sono dell’idea che i veri artefici delle più grandi gesta ed emozioni siamo noi, noi uomini. Il Liceo Classico è questo, un insieme di persone che amano osservare ed osservarsi, che imparano a vivere nel silenzio incessante e comunicativo della verità, spesso travolto dalla frenesia della vita. È un luogo nel quale si impara a dare un peso alle parole, dove si apprende l’abilità oratoria, a mettere in discussione tutto e ad analizzare ogni singolo momento solo dopo essere stati in grado di viverlo completamente. 

Quello che stiamo attraversando è un tempo assai duro e difficile e spesso noto, attraverso i freddi schermi, annidarsi la tristezza nei volti dei miei professori, che a volte vedono in noi quegli sguardi spenti, che trasudano pressione e stress e nei quali l’entusiasmo di andare fisicamente a scuola sembra sempre più sfuggente ed occultato da questa nuova realtà. Ho, però, la fortuna, insieme ai miei compagni, di poter trascorrere questo angoscioso periodo insieme ad una persona che ha fondato la propria intera vita sull’insegnamento, divenuto per lui una vera e propria missione di salvezza e cambiamento. Ciò che il professore Costantino Massaro non ha concesso a nessuno di noi è stato buttarci via, rinchiuderci all’interno di una cella fatta di noia e negatività e gettare le chiavi per non affrontare la realtà, forse anche per non lottare affinché cambi. È proprio in base a questa missione che sono nati due meravigliosi incontri con due ex alunni del Liceo Classico di Airola: Damiano Caponio ed Emanuele Sacchetti. Noi tutti abbiamo bisogno di liberare i nostri animi dalle preoccupazioni e la parola, veicolo di grandi trasformazioni, si è rivelata il mezzo più potente di disintossicazione in un periodo nel quale sembra spesso mancarci il respiro. Ciò che ho subito notato, in occasione di questi incontri telematici pomeridiani, è stato quanto la preparazione classica faccia la differenza nei rapporti sociali e quanto dia la possibilità di farsi ascoltare e convincere chi si ha intorno della bontà di ciò che si pensa, grazie anche al potere persuasivo delle parole.

Abbiamo discusso a lungo, soprattutto nell’incontro con Damiano, di quanto il buio sia fondamentale e di come le cose più belle e più grandi abbiano alla base una grande sofferenza e nascano, in qualche modo, dai momenti più difficili. Non mi stancherò mai di ripetere quanto il dolore sia importante e necessario e quanto la felicità sarebbe indistinguibile, se non ci fosse il dolore ad elevarla e a renderla qualcosa di così tanto agognato. Ciò che stiamo vivendo servirà a renderci uomini e donne migliori domani e a non lasciarci spegnere dalle difficoltà, ma a motivarci attraverso esse. Di Damiano ho particolarmente apprezzato il testo, attuale e significativo, del suo brano “Zanzare”.   

Credo che gli incontri molto spesso facciano la differenza poiché capaci di ispirare grandi cose. È per me molto bello ritrovare una parte di me stessa nella storia di qualcun altro e ciò mi è successo in particolare nell’incontro con Emanuele Sacchetti, ragazzo che ha raccontato di quanto la sua più grande passione - il teatro - gli abbia salvato la vita più volte. Ho invidiato tanto la sua forza, quella che a me spesso manca, nel parlare della propria intima esperienza con il buio e nell’essere in grado di ringraziare tutti coloro che l’hanno ferito poiché senza di essi, probabilmente, non si sarebbe mai reso conto di ciò che non sarebbe voluto diventare.  

Ringrazio, infine, tutti gli insegnanti che, nonostante le continue delusioni spesso ricevute da noi studenti, non mollano e continuano a prendersi cura del nostro dolore, aiutandoci a trasformarlo nella più grande delle ricchezze.

Giulia Falzarano

 

 

 

 

Ho sempre pensato che l’insegnamento statico e fatto di passività e noia fosse totalmente inutile. Mi sento tanto fortunata nel poter affermare che ciò non riguarda me, non riguarda noi del Liceo Classico “A. Lombardi” di Airola. Credo che ogni luogo ed ogni momento della nostra esistenza siano valorizzati in gran parte da chi li vive con pienezza poiché sono dell’idea che i veri artefici delle più grandi gesta ed emozioni siamo noi, noi uomini. Il Liceo Classico è questo, un insieme di persone che amano osservare ed osservarsi, che imparano a vivere nel silenzio incessante e comunicativo della verità, spesso travolto dalla frenesia della vita. È un luogo nel quale si impara a dare un peso alle parole, dove si apprende l’abilità oratoria, a mettere in discussione tutto e ad analizzare ogni singolo momento solo dopo essere stati in grado di viverlo completamente. 

Quello che stiamo attraversando è un tempo assai duro e difficile e spesso noto, attraverso i freddi schermi, annidarsi la tristezza nei volti dei miei professori, che a volte vedono in noi quegli sguardi spenti, che trasudano pressione e stress e nei quali l’entusiasmo di andare fisicamente a scuola sembra sempre più sfuggente ed occultato da questa nuova realtà. Ho, però, la fortuna, insieme ai miei compagni, di poter trascorrere questo angoscioso periodo insieme ad una persona che ha fondato la propria intera vita sull’insegnamento, divenuto per lui una vera e propria missione di salvezza e cambiamento. Ciò che il professore Costantino Massaro non ha concesso a nessuno di noi è stato buttarci via, rinchiuderci all’interno di una cella fatta di noia e negatività e gettare le chiavi per non affrontare la realtà, forse anche per non lottare affinché cambi. È proprio in base a questa missione che sono nati due meravigliosi incontri con due ex alunni del Liceo Classico di Airola: Damiano Caponio ed Emanuele Sacchetti. Noi tutti abbiamo bisogno di liberare i nostri animi dalle preoccupazioni e la parola, veicolo di grandi trasformazioni, si è rivelata il mezzo più potente di disintossicazione in un periodo nel quale sembra spesso mancarci il respiro. Ciò che ho subito notato, in occasione di questi incontri telematici pomeridiani, è stato quanto la preparazione classica faccia la differenza nei rapporti sociali e quanto dia la possibilità di farsi ascoltare e convincere chi si ha intorno della bontà di ciò che si pensa, grazie anche al potere persuasivo delle parole.

Abbiamo discusso a lungo, soprattutto nell’incontro con Damiano, di quanto il buio sia fondamentale e di come le cose più belle e più grandi abbiano alla base una grande sofferenza e nascano, in qualche modo, dai momenti più difficili. Non mi stancherò mai di ripetere quanto il dolore sia importante e necessario e quanto la felicità sarebbe indistinguibile, se non ci fosse il dolore ad elevarla e a renderla qualcosa di così tanto agognato. Ciò che stiamo vivendo servirà a renderci uomini e donne migliori domani e a non lasciarci spegnere dalle difficoltà, ma a motivarci attraverso esse. Di Damiano ho particolarmente apprezzato il testo, attuale e significativo, del suo brano “Zanzare”, sul quale ho ispirato un testo a cui sono molto affezionata e nel quale sono riuscita a liberarmi di un mio piccolo dolore

Credo che gli incontri molto spesso facciano la differenza poiché capaci di ispirare grandi cose. È per me molto bello ritrovare una parte di me stessa nella storia di qualcun altro e ciò mi è successo in particolare nell’incontro con Emanuele Sacchetti, ragazzo che ha raccontato di quanto la sua più grande passione - il teatro - gli abbia salvato la vita più volte. Ho invidiato tanto la sua forza, quella che a me spesso manca, nel parlare della propria intima esperienza con il buio e nell’essere in grado di ringraziare tutti coloro che l’hanno ferito poiché senza di essi, probabilmente, non si sarebbe mai reso conto di ciò che non sarebbe voluto diventare. 

Ringrazio, infine, tutti gli insegnanti che, nonostante le continue delusioni spesso ricevute da noi studenti, non mollano e continuano a prendersi cura del nostro dolore, aiutandoci a trasformarlo nella più grande delle ricchezze. 

Giulia Falzarano

 

 

L’approccio del singolo individuo alle esperienze della vita è di volta in volta differente, proprio perché, da persona a persona, differiscono le idee, i punti di vista, i trascorsi. Di conseguenza, il confronto tra soggetti che vivono la stessa esperienza, anche se in luoghi o in tempi diversi, è stimolante e altamente formativo.

Tali sono stati gli incontri con Damiano Caponio ed Emanuele Sacchetti, alunni di vecchia data del nostro Liceo Classico, i quali hanno allietato due dei nostri pomeriggi, offrendoci una bella possibilità di confronto su numerose tematiche e permettendoci di ospitare, nelle stanze di ciascuno di noi, le “parole alate” care ad Omero e ai molteplici artisti citati durante i due incontri. È stato trattato, con grande cura e attenzione, il tema dell’arte, inteso nel suo spettro più ampio, e, dunque, delle arti.

La parola “arte” ci giunge dal latino ars, artis, ossia abilità, talento; per esprimere il concetto di arte o abilità gli elleni utilizzavano, invece, il sostantivo τχνη, il quale, abbinato ad alcuni aggettivi, assumeva vari significati con numerose sfaccettature. 

Con Damiano ci siamo soffermati particolarmente sulla musica, sul potere di quest’ultima che definirei ancestrale e sul percorso musicale del giovane cantautore, in cui ha inciso sicuramente la carriera scolastica, come dimostrato dall’utilizzo sapiente e corretto delle parole all’interno dei testi delle sue canzoni. 

La determinazione di Damiano ha mostrato a tutti noi l’altra faccia di una generazione spesso considerata sterile, provando come anche in questa società ci siano persone che credono fermamente in ciò che fanno e che lottano per vedere realizzati i propri sogni e le proprie ambizioni.

Con Emanuele ci siamo, invece, concentrati sul teatro, luogo parallelo alla realtà che, da sempre, rappresenta il connubio perfetto tra abilità (ma non solo quella degli attori) e cultura. La passione, l’ardore e l’orgoglio di Emanuele emergevano chiaramente dalle sue parole sicure, dai suoi occhi scintillanti e perfino dai piccoli gesti da lui compiuti nel corso della conversazione. La manifestazione di coraggio, di forza e, soprattutto, di profonda maturità di Emanuele ha stupito tutti, dimostrando il fatto che, fortunatamente, l’arte e la cultura possono ancora rappresentare per tutti noi una fonte di felicità e sicurezza, ma in primisun’ancora di salvezza a cui aggrapparsi, quando sembra che tutto intorno a noi stia crollando.

In entrambi gli incontri si è, comunque, celebrata quella che i nostri cari greci definivano ητορική τέχνη, l’abilità retorica, l’eloquenza. L’utilizzo sapiente e attento della lingua, infatti, non è passato inosservato, emergendo con prepotenza, quasi come un bagliore di luce in questa dilagante “peste del linguaggio” (Calvino sarebbe d’accordo). Questa grande abilità nel saper utilizzare la lingua da parte dei due ospiti, così capaci di costruire periodi complessi, ma non sgrammaticati, è frutto del bagaglio culturale apportato dagli studi.

Ritengo questi incontri momenti interessanti e altamente formativi: il confronto costante con gli altri e, dunque, con la diversità non deve spaventarci, rappresentando un’occasione, un’opportunità per sviluppare le proprie idee e il proprio senso critico. Apriamo le nostre menti al confronto. Ad maiora!

 

Annalisa Solla

 

 

 

EMANUELE SACCHETTI

Coraggio è l’unica parola che mi rimbomba nella testa, quando ripenso all’incontro con Emanuele Sacchetti; mi sarebbe piaciuto incontrarlo di persona, ascoltare le sue parole dal vivo e percepire a pieno tutta la sua emozione nel parlare di ciò che più ama, ovvero il teatro. Ne parlava come se fosse una ragione di vita perché, alla fine, quel mondo lì è il suo mondo, un piccolo spazio dove poter scappare da una realtà tanto grande quanto stretta e triste. 

La sua adolescenza non è stata per niente semplice, i suoi anni migliori sono stati, probabilmente, i peggiori, ma ne parlava come se il bullismo e l’emarginazione lo avessero solo aiutato nel suo percorso. Ho vissuto il bullismo sulla mia pelle e so come ci si sente, so cosa si prova, quando il gruppo non ti accetta e tutto ciò che riesci a fare è sentirti sbagliato; provi ad adattarti, a cambiare, ti sforzi di essere accettato o di accettare dentro di te ciò che non sei; provi a farti scorrere addosso quelle piccole cose giornaliere che poi, con il tempo, diventano schegge taglienti con cui fare i conti. Più provi a farne parte, più stai male; più cerchi di imitare quella massa, più te ne distingui e Emanuele mi ha aiutata tanto a capire che è solo una cosa positiva.

Proprio come lui, anch’io ho ritagliato il mio piccolo mondo, il mio “posto calmo” dove niente e nessuno è capace di farmi del male e lì anch’io trovo il coraggio per affrontare i miei mostri. Perché, sì, quello di Emanuele è un grande coraggio: riuscire a parlare di una cosa negativa con il sorriso in faccia, dimostrando a chi lo ha ferito che non ha vinto; un po’ come l’episodio di cui ci ha parlato, in occasione del quale, per un progetto teatrale, ognuno doveva portare un oggetto e raccontare il pezzo di esistenza collegato a quell’oggetto: Emanuele ha deciso di raccontarsi attraverso un paio di occhiali completamente rotti dalle botte dei bulli e posso solo immaginare quanto sia stato difficile tirare fuori quegli anni che andrebbero chiusi in un cassetto impossibile da riaprire. Ma Emanuele non è solo questo, non è solo bullismo: è un uomo maturo, simpatico, intelligente, che sa come coinvolgere chi lo ascolta e che va fiero di aver realizzato il suo sogno; lavora dietro le quinte, si occupa di ciò che non si vede, ma che è fondamentale per lo spettacolo, e vive la vita che ha sempre sognato. E’ diventato un po’ un punto di riferimento, un esempio che mi dà forza, tutte le volte in cui penso al mio grande sogno. Oltre al bullismo, poi, abbiamo anche altro in comune: ci ha raccontato, infatti, che i suoi genitori volevano che studiasse medicina, ma, dopo aver intrapreso il percorso universitario, ha mollato. La mia famiglia vorrebbe che anch’io studiassi medicina, vorrebbe che diventassi un chirurgo e che salvassi le vite delle persone, ma io, invece del corpo, vorrei salvare la mente delle persone, con la scrittura, ma è difficile farglielo capire. Penso, quindi, a come lui abbia iniziato, a come sia riuscito a partire da un piccolo paese per arrivare, poi, ad una bella e grande città come Napoli; a scuola non si distingueva per voti alti, rispetto ai suoi compagni che, invece, riuscivano a prendere otto o nove e questo mi ha ricordato Einstein, che non riuscì a continuare gli studi al liceo, o Steve Jobs, che, partendo da un garage, ha saputo fondare una delle più grandi società tecnologiche. Emanuele non si è mai arreso, nonostante il rischio a cui andava incontro: per sognare ci vuole coraggio; avere ambizioni e aspirazioni è un peso con cui bisogna imparare a convivere perché nulla ti viene regalato, se non ti impegni, se non lotti per diventare la persona che desideri essere, per raggiungere la vetta più alta al mondo e continuare a scalare. Emanuele ne è l’esempio perfetto, due facce della stessa moneta: da un lato il talento, dall’altro il prezzo da pagare. Aveva tanta rabbia dentro, probabilmente ne ha ancora e l’avrà per sempre, ma è riuscito a trasformarla in un punto di forza per dimostrare che, solo sforzandosi, si ottengono risultati. Sapere che la strada è lunga e ripida spesso mi scoraggia, il solo pensiero mi spaventa, ma poi ripenso all’incontro e capisco che devo un grande grazie ad Emanuele per essermi entrato nel cuore e avermi fatto capire che i limiti più grandi sono quelli che noi stessi ci imponiamo.

DAMIANO CAPONIO

E’ dura ammetterlo, ma ormai nemmeno la libertà può essere data per scontata; viviamo in una società dove spesso idoli sbagliati decidono per tutti, influenzano la massa, generando conseguenze disastrose. C’è bisogno che tutti sappiano tutto di noi, che ogni nostro movimento sia rintracciato e che ogni nostra parola venga ascoltata: quante volte ci è capitato di anche solo pensare qualcosa per poi ritrovarcelo spiattellato sul cellulare come pubblicità? E’ questa la cosa che fa più paura e Damiano la esprime in modo chiaro e diretto. E’ stato impressionante vedere un ragazzo così giovane che sa già tanto del mondo, che sta cercando di realizzare il suo sogno e che, a differenza dei coetanei, ha capito con cosa abbiamo a che fare, quando maneggiamo un cellulare, pubblichiamo una storia o mandiamo un messaggio. Crediamo di avere uno spazio personale, crediamo che una minuscola scatola come il cellulare non sia pericolosa, ma, in realtà, lo è. Sa tutto di noi, anche più di noi stessi, e non è per niente sicuro; eppure, ne siamo dipendenti; sappiamo il pericolo che corriamo, sappiamo che è il primo oggetto che afferriamo al mattino e sappiamo che non vivremmo un secondo senza, ma evitiamo il problema. Parlare di una cosa tanto grande e spaventosa attraverso la musica, però, è meraviglioso: amo la musica e, proprio come per Damiano, è uno dei mezzi che uso per “staccare la spina” ed esprimermi al meglio; il testo di Zanzare, infatti, è forte e ti resta in testa per settimane, come se quelle parole fossero indispensabili per ricordare, ogni giorno, che il mondo là fuori è pericoloso e ci vuole ignoranti dietro uno schermo. Damiano, oltre alla sua capacità di scrivere e fare musica, ha dimostrato anche una grande intelligenza e una grande cultura che hanno dato i loro frutti; lo osservavo mentre parlava, mentre cercava di trasmetterci tutta la sua passione per ciò che studia e ciò che scrive e mi ha colpita molto la sua voglia di trasmettere il messaggio del testo e della canzone senza peli sulla lingua. A Damiano non importano i numeri, probabilmente non importa il successo, ma semplicemente vuole che ciò che prova e scrive arrivi dritto alle persone che ascoltano, che siano tante o poche. Ha iniziato a scrivere durante l’adolescenza e questo mi fa pensare che da tanto tempo desideri fare qualcosa di grande e gli auguro con tutto il cuore di riuscirci perché tanti ignoranti sono conosciuti e guadagnano su falsi talenti e, invece, un ragazzo come Damiano ha difficoltà ad uscire da una realtà piccola e stretta. In particolare, però, mi sono rimaste impresse le ultime parole del testo: “Giusto o sbagliato non è importante, metto comunque un po’ di spray, non mi avrete mai zanzare”. Mi ha fatto riflettere tanto, e mi sono chiesta per giorni quale sia lo spray giusto da utilizzare contro queste zanzare che ci opprimono e seguono ovunque, tant’è che, durante l’incontro, l’ho chiesto a Damiano, che mi ha fatto capire che lo spray più potente è la consapevolezza. 

Fino a poco tempo fa, non pensavo di essere così esposta e non avevo contezza di tante cose; poi ho aperto gli occhi e il testo di Zanzareè stato l’ultimo pugno allo stomaco, diretto e secco. Ciò che c’è di più pericoloso è proprio ciò che non conosciamo; non sappiamo cosa ci sia là fuori e non sapremo mai bene come difenderci da questi parassiti perché ormai siamo caduti nella trappola, ne facciamo quasi parte e ne abbiamo bisogno. “Sa tutto di plastica, ci sono telecamere ovunque” mi ha fatto pensare ai momenti con gli amici, alle feste, ai concerti, dove i video, le foto e i flash non mancano mai; i rapporti umani stanno quasi annullandosi dietro uno schermo e la cosa che fa più male è che ci comportiamo come se fosse un bene. 

Riflettere sul testo e ascoltare Damiano è un po’ come guardarsi dentro, capire che qualcosa non va e prendere in mano la situazione, anche se fa male. Probabilmente lottare contro le ‘zanzare’ servirà a poco; forse sono più forti di noi e troppo grandi da gestire, ma, se c’è una cosa che mi ha fatto capire Damiano, è che non bisogna mai accettare ciò che non ci sta bene. “E’ importante avere idea di dove andare, è importante avere idee da manifestare, pure se non serve a niente”: la canzone comincia così ed è una spinta ad aprire gli occhi e accettare la realtà. L’unico modo per cambiare le cose e scoprire se sarà così per sempre è provarci.

Sarah Lista

 

 

L’approccio del singolo individuo alle esperienze della vita è di volta in volta differente, proprio perché, da persona a persona, differiscono le idee, i punti di vista, i trascorsi. Di conseguenza, il confronto tra soggetti che vivono la stessa esperienza, anche se in luoghi o in tempi diversi, è stimolante e altamente formativo.

Tali sono stati gli incontri con Damiano Caponio ed Emanuele Sacchetti, alunni di vecchia data del nostro Liceo Classico, i quali hanno allietato due dei nostri pomeriggi, offrendoci una bella possibilità di confronto su numerose tematiche e permettendoci di ospitare, nelle stanze di ciascuno di noi, le “parole alate” care ad Omero e ai molteplici artisti citati durante i due incontri. È stato trattato, con grande cura e attenzione, il tema dell’arte, inteso nel suo spettro più ampio, e, dunque, delle arti.

La parola “arte” ci giunge dal latino ars, artis, ossia abilità, talento; per esprimere il concetto di arte o abilità gli elleni utilizzavano, invece, il sostantivo τέχνη, il quale, abbinato ad alcuni aggettivi, assumeva vari significati con numerose sfaccettature. 

Con Damiano ci siamo soffermati particolarmente sulla musica, sul potere di quest’ultima che definirei ancestrale e sul percorso musicale del giovane cantautore, in cui ha inciso sicuramente la carriera scolastica, come dimostrato dall’utilizzo sapiente e corretto delle parole all’interno dei testi delle sue canzoni. 

La determinazione di Damiano ha mostrato a tutti noi l’altra faccia di una generazione spesso considerata sterile, provando come anche in questa società ci siano persone che credono fermamente in ciò che fanno e che lottano per vedere realizzati i propri sogni e le proprie ambizioni.

Con Emanuele ci siamo, invece, concentrati sul teatro, luogo parallelo alla realtà che, da sempre, rappresenta il connubio perfetto tra abilità (ma non solo quella degli attori) e cultura. La passione, l’ardore e l’orgoglio di Emanuele emergevano chiaramente dalle sue parole sicure, dai suoi occhi scintillanti e perfino dai piccoli gesti da lui compiuti nel corso della conversazione. La manifestazione di coraggio, di forza e, soprattutto, di profonda maturità di Emanuele ha stupito tutti, dimostrando il fatto che, fortunatamente, l’arte e la cultura possono ancora rappresentare per tutti noi una fonte di felicità e sicurezza, ma in primis un’ancora di salvezza a cui aggrapparsi, quando sembra che tutto intorno a noi stia crollando.

In entrambi gli incontri si è, comunque, celebrata quella che i nostri cari greci definivano ῥητορική τέχνη, l’abilità retorica, l’eloquenza. L’utilizzo sapiente e attento della lingua, infatti, non è passato inosservato, emergendo con prepotenza, quasi come un bagliore di luce in questa dilagante “peste del linguaggio” (Calvino sarebbe d’accordo). Questa grande abilità nel saper utilizzare la lingua da parte dei due ospiti, così capaci di costruire periodi complessi, ma non sgrammaticati, è frutto del bagaglio culturale apportato dagli studi.

Ritengo questi incontri momenti interessanti e altamente formativi: il confronto costante con gli altri e, dunque, con la diversità non deve spaventarci, rappresentando un’occasione, un’opportunità per sviluppare le proprie idee e il proprio senso critico. Apriamo le nostre menti al confronto.                         

Ad maiora!

Annalisa Solla
 
 

EMANUELE SACCHETTI

Coraggio è l’unica parola che mi rimbomba nella testa, quando ripenso all’incontro con Emanuele Sacchetti; mi sarebbe piaciuto incontrarlo di persona, ascoltare le sue parole dal vivo e percepire a pieno tutta la sua emozione nel parlare di ciò che più ama, ovvero il teatro. Ne parlava come se fosse una ragione di vita perché, alla fine, quel mondo lì è il suo mondo, un piccolo spazio dove poter scappare da una realtà tanto grande quanto stretta e triste. 

La sua adolescenza non è stata per niente semplice, i suoi anni migliori sono stati, probabilmente, i peggiori, ma ne parlava come se il bullismo e l’emarginazione lo avessero solo aiutato nel suo percorso. Ho vissuto il bullismo sulla mia pelle e so come ci si sente, so cosa si prova, quando il gruppo non ti accetta e tutto ciò che riesci a fare è sentirti sbagliato; provi ad adattarti, a cambiare, ti sforzi di essere accettato o di accettare dentro di te ciò che non sei; provi a farti scorrere addosso quelle piccole cose giornaliere che poi, con il tempo, diventano schegge taglienti con cui fare i conti. Più provi a farne parte, più stai male; più cerchi di imitare quella massa, più te ne distingui e Emanuele mi ha aiutata tanto a capire che è solo una cosa positiva.

Proprio come lui, anch’io ho ritagliato il mio piccolo mondo, il mio “posto calmo” dove niente e nessuno è capace di farmi del male e lì anch’io trovo il coraggio per affrontare i miei mostri. Perché, sì, quello di Emanuele è un grande coraggio: riuscire a parlare di una cosa negativa con il sorriso in faccia, dimostrando a chi lo ha ferito che non ha vinto; un po’ come l’episodio di cui ci ha parlato, in occasione del quale, per un progetto teatrale, ognuno doveva portare un oggetto e raccontare il pezzo di esistenza collegato a quell’oggetto: Emanuele ha deciso di raccontarsi attraverso un paio di occhiali completamente rotti dalle botte dei bulli e posso solo immaginare quanto sia stato difficile tirare fuori quegli anni che andrebbero chiusi in un cassetto impossibile da riaprire. Ma Emanuele non è solo questo, non è solo bullismo: è un uomo maturo, simpatico, intelligente, che sa come coinvolgere chi lo ascolta e che va fiero di aver realizzato il suo sogno; lavora dietro le quinte, si occupa di ciò che non si vede, ma che è fondamentale per lo spettacolo, e vive la vita che ha sempre sognato. E’ diventato un po’ un punto di riferimento, un esempio che mi dà forza, tutte le volte in cui penso al mio grande sogno. Oltre al bullismo, poi, abbiamo anche altro in comune: ci ha raccontato, infatti, che i suoi genitori volevano che studiasse medicina, ma, dopo aver intrapreso il percorso universitario, ha mollato. La mia famiglia vorrebbe che anch’io studiassi medicina, vorrebbe che diventassi un chirurgo e che salvassi le vite delle persone, ma io, invece del corpo, vorrei salvare la mente delle persone, con la scrittura, ma è difficile farglielo capire. Penso, quindi, a come lui abbia iniziato, a come sia riuscito a partire da un piccolo paese per arrivare, poi, ad una bella e grande città come Napoli; a scuola non si distingueva per voti alti, rispetto ai suoi compagni che, invece, riuscivano a prendere otto o nove e questo mi ha ricordato Einstein, che non riuscì a continuare gli studi al liceo, o Steve Jobs, che, partendo da un garage, ha saputo fondare una delle più grandi società tecnologiche. Emanuele non si è mai arreso, nonostante il rischio a cui andava incontro: per sognare ci vuole coraggio; avere ambizioni e aspirazioni è un peso con cui bisogna imparare a convivere perché nulla ti viene regalato, se non ti impegni, se non lotti per diventare la persona che desideri essere, per raggiungere la vetta più alta al mondo e continuare a scalare. Emanuele ne è l’esempio perfetto, due facce della stessa moneta: da un lato il talento, dall’altro il prezzo da pagare. Aveva tanta rabbia dentro, probabilmente ne ha ancora e l’avrà per sempre, ma è riuscito a trasformarla in un punto di forza per dimostrare che, solo sforzandosi, si ottengono risultati. Sapere che la strada è lunga e ripida spesso mi scoraggia, il solo pensiero mi spaventa, ma poi ripenso all’incontro e capisco che devo un grande grazie ad Emanuele per essermi entrato nel cuore e avermi fatto capire che i limiti più grandi sono quelli che noi stessi ci imponiamo.

 

 

 

DAMIANO CAPONIO

E’ dura ammetterlo, ma ormai nemmeno la libertà può essere data per scontata; viviamo in una società dove spesso idoli sbagliati decidono per tutti, influenzano la massa, generando conseguenze disastrose. C’è bisogno che tutti sappiano tutto di noi, che ogni nostro movimento sia rintracciato e che ogni nostra parola venga ascoltata: quante volte ci è capitato di anche solo pensare qualcosa per poi ritrovarcelo spiattellato sul cellulare come pubblicità? E’ questa la cosa che fa più paura e Damiano la esprime in modo chiaro e diretto. E’ stato impressionante vedere un ragazzo così giovane che sa già tanto del mondo, che sta cercando di realizzare il suo sogno e che, a differenza dei coetanei, ha capito con cosa abbiamo a che fare, quando maneggiamo un cellulare, pubblichiamo una storia o mandiamo un messaggio. Crediamo di avere uno spazio personale, crediamo che una minuscola scatola come il cellulare non sia pericolosa, ma, in realtà, lo è. Sa tutto di noi, anche più di noi stessi, e non è per niente sicuro; eppure, ne siamo dipendenti; sappiamo il pericolo che corriamo, sappiamo che è il primo oggetto che afferriamo al mattino e sappiamo che non vivremmo un secondo senza, ma evitiamo il problema. Parlare di una cosa tanto grande e spaventosa attraverso la musica, però, è meraviglioso: amo la musica e, proprio come per Damiano, è uno dei mezzi che uso per “staccare la spina” ed esprimermi al meglio; il testo di Zanzare, infatti, è forte e ti resta in testa per settimane, come se quelle parole fossero indispensabili per ricordare, ogni giorno, che il mondo là fuori è pericoloso e ci vuole ignoranti dietro uno schermo. Damiano, oltre alla sua capacità di scrivere e fare musica, ha dimostrato anche una grande intelligenza e una grande cultura che hanno dato i loro frutti; lo osservavo mentre parlava, mentre cercava di trasmetterci tutta la sua passione per ciò che studia e ciò che scrive e mi ha colpita molto la sua voglia di trasmettere il messaggio del testo e della canzone senza peli sulla lingua. A Damiano non importano i numeri, probabilmente non importa il successo, ma semplicemente vuole che ciò che prova e scrive arrivi dritto alle persone che ascoltano, che siano tante o poche. Ha iniziato a scrivere durante l’adolescenza e questo mi fa pensare che da tanto tempo desideri fare qualcosa di grande e gli auguro con tutto il cuore di riuscirci perché tanti ignoranti sono conosciuti e guadagnano su falsi talenti e, invece, un ragazzo come Damiano ha difficoltà ad uscire da una realtà piccola e stretta. In particolare, però, mi sono rimaste impresse le ultime parole del testo: “Giusto o sbagliato non è importante, metto comunque un po’ di spray, non mi avrete mai zanzare”. Mi ha fatto riflettere tanto, e mi sono chiesta per giorni quale sia lo spray giusto da utilizzare contro queste zanzare che ci opprimono e seguono ovunque, tant’è che, durante l’incontro, l’ho chiesto a Damiano, che mi ha fatto capire che lo spray più potente è la consapevolezza. 

Fino a poco tempo fa, non pensavo di essere così esposta e non avevo contezza di tante cose; poi ho aperto gli occhi e il testo di Zanzare è stato l’ultimo pugno allo stomaco, diretto e secco. Ciò che c’è di più pericoloso è proprio ciò che non conosciamo; non sappiamo cosa ci sia là fuori e non sapremo mai bene come difenderci da questi parassiti perché ormai siamo caduti nella trappola, ne facciamo quasi parte e ne abbiamo bisogno. “Sa tutto di plastica, ci sono telecamere ovunque” mi ha fatto pensare ai momenti con gli amici, alle feste, ai concerti, dove i video, le foto e i flash non mancano mai; i rapporti umani stanno quasi annullandosi dietro uno schermo e la cosa che fa più male è che ci comportiamo come se fosse un bene. 

Riflettere sul testo e ascoltare Damiano è un po’ come guardarsi dentro, capire che qualcosa non va e prendere in mano la situazione, anche se fa male. Probabilmente lottare contro le ‘zanzare’ servirà a poco; forse sono più forti di noi e troppo grandi da gestire, ma, se c’è una cosa che mi ha fatto capire Damiano, è che non bisogna mai accettare ciò che non ci sta bene. “E’ importante avere idea di dove andare, è importante avere idee da manifestare, pure se non serve a niente”: la canzone comincia così ed è una spinta ad aprire gli occhi e accettare la realtà. L’unico modo per cambiare le cose e scoprire se sarà così per sempre è provarci.

Sarah Lista

 

 

 

Paola Pitagora: un esempio da seguire

Socrate diceva che un insegnante mediocre racconta, un bravo insegnante spiega, un insegnate eccellente dimostra, ma un vero maestro ispira. In una società dove vorremmo tutto e subito, dove qualsiasi cosa è a portata di mano e, anche in quel caso, il minimo sforzo necessario per ottenerla ci stanca, Paola Pitagora ha saputo dimostrarci quanto la cultura, l’umanità e, soprattutto, la fatica, portino grandi risultati anche dopo più di cinquant’anni di carriera. Ora che, in piena pandemia, gli obiettivi sembrano irraggiungibili, i sogni troppo grandi per essere realizzati e la realtà troppo triste per non sognare, lei ha avuto il coraggio di spronarci a non mollare, a credere in qualcosa e continuare a farlo, anche se sembra impossibile; ha parlato a tantissimi giovani, ma sembrava una di noi, sembrava capirci più di quanto potremmo mai fare noi stessi. Ha usato parole semplici, ma importanti, mai scontate, indossandole con il sorriso di una grande donna, sì, ma, soprattutto, femminista poiché le due cose, purtroppo, non vanno sempre insieme;  questo mi ha permesso di capire quanto, di fronte all’empatia e alla cultura, l’età conti ben poco. 

   Le brillavano gli occhi nel parlare della sua carriera che, tra alti e bassi, ha sempre rispecchiato la bellissima persona che, in poche ore, ha dimostrato di essere: basta uno sguardo per capire qualcuno, ma solo se chi abbiamo di fronte è disposto a lasciarsi leggere dentro. Ciò che mi ha colpita di più, nel suo sguardo, è stata la passione; ho sempre dato peso a questa parola e, soprattutto, ho sempre ritenuto che riconoscere una passione, accettarla ed essere disposti a sacrificarsi per questa non sia facile ed è per questo che quelle poche cose che mi riservo per distrarmi dalla quotidianità me le tengo più che strette; quando, però, come è giusto che sia, il mio mondo entra in contrasto con quello reale che mi circonda, l’unica soluzione è aggrapparmi agli altri, a chi sa meglio di me come ritrovare l’equilibrio; Paola Pitagora è stata, come dice Socrate, un’ispirazione. La sua versatilità è un grande esempio di quanto, se lo si desidera realmente, si può arrivare ovunque nella vita, toccare ogni vetta senza timore;  credo che sia proprio questo il problema più grande, soprattutto tra noi giovani: la paura; è un’arma che, se consapevoli di come usarla, può diventare un punto di forza, ma può anche essere letale e, spesso, siamo proprio noi ad aprirle la porta, a lasciare che prenda il sopravvento: ci vuole coraggio anche solo per sognare e la paura è un grosso ostacolo. 

   Durante l’incontro sono stati affrontati temi delicati, come il diritto alla scelta che, spesso, viene tolto alle donne: “c’è sensualità anche nel pudore, così come nella scelta di mostrarsi; l’importante è farlo per se stesse e non perché viene imposto”, ha detto e ne sono rimasta affascinata: bisogna scegliere di fare ciò che più ci fa stare meglio poiché, alla fine, troveranno sempre l’occasione giusta per giudicarci. 

   Mi è piaciuto il modo in cui, con eleganza ed educazione, ha saputo rispondere alle nostre curiosità, sempre diretta, anche quando, magari, la domanda poteva essere scomoda; è ciò a cui tutti, nella vita, dovremmo puntare: esprimerci, sempre, senza giri di parole, senza viltà; ha criticato la scuola che, purtroppo, a stento istruisce, figuriamoci se educa, quella scuola dove non si parla di corpo, oltre che di anima, perché si dà per scontato che certe cose vengano naturali o si imparino con il tempo, quella scuola che non “insegna” le emozioni perché, spesso, bisogna imparare ad amare, a rispettare, ad aiutare, a fare ordine nella testa e nell’anima, e la scuola dovrebbe occuparsene. Nessuno di noi ha la certezza di ciò che, in futuro, sceglierà o avrà la possibilità di fare, ma possiamo scegliere chi essere, costruire sin da subito persone sincere, leali, capaci di lasciare il mondo migliore di come lo hanno trovato perché, se lo si vuole, si crea un percorso sempre in salita, mai in discesa, a prescindere da chi era dietro quella cattedra che a volte, purtroppo, è antagonista e non aiutante. 

   Occasioni come queste non capitano tutti i giorni, raramente si ha l’opportunità di incontrare qualcuno che ti prenda per mano e ti indichi la strada; quindi, quando succede, bisogna apprezzarlo e ricordarlo, tenere a mente la forza e la costanza di chi ha saputo darci vere e proprie lezioni di vita e, perché no, seguire il loro esempio, senza invidia, cercando sempre di non diventare una becera imitazione, perdendo l’unicità che tutti racchiudiamo nel cuore. E’, quindi, grazie a loro, ai veri maestri, che potremo arrivare in alto e ringraziare chi ci ha dato una spinta.

Sarah Lista